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foto Stefania Capone

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QUADRATINOnero

IL “CANTAUTORATO DEL PRECARIATO” DI MAURIZIO PONZIANI    

Stefano Amorese

 

Il cd dal titolo Metrò mestieri, uscito nel 2011, prodotto da Acme Systems e curato ottimamente nella grafica, segna formalmente l’esordio sul panorama discografico del cantautore romano Maurizio Ponziani, che si è occupato dei testi, della musica e degli arrangiamenti e già, nello sfogliare la copertina, da una dicitura posta in basso Esagerando come da partitura, si deduce con quale verve cantautorale si è inteso articolare e realizzare il progetto.
Maurizio Ponziani, nato a Roma il 30 ottobre del 1965 (attivo come pianista da oltre 20 anni) annovera la scrittura di molteplici partiture sia per pianoforte solo che per musica d’insieme; come numerose sono le sue esibizioni, svoltesi non soltanto nell’ambito dello scenario musicale della Capitale. Ponziani viene orientato alla musica intorno agli anni ’80, dagl’insegnanti orbitanti nella sfera della “Scuola Popolare di Musica di Testaccio” di Roma, dove studia fra le altre materie, piano jazz e arrangiamento. Successivamente soggiorna alcuni anni a Rio de Janeiro, dove costituisce un trio strumentale di jazz samba che esegue una prima serie di sue composizioni. È esattamente in questo periodo che, attingendo ed assorbendo un universo culturale colorato e turbolento, come quello espresso dal carattere brasiliano, riscoprirà sul campo l’efficacia di quelle sonorità carioca che confluiranno successivamente nelle sue future composizioni: punteggiature che diverranno sempre più accese e fiammanti, corroborate come saranno, da quel complesso di reminiscenze timbriche e ritmiche, che influenzeranno molti dei suoi lavori compositivi.
In seguito, deciso a stabilirsi nuovamente nella sua città natale, intraprende la didattica musicale, scegliendo di condividere la sua arte e conferendo il suo contributo pianistico alla costruttiva e vivace esperienza di Inchiostri ed altri materiali (gruppo poetico performativo e musicale, creatosi spontaneamente dalla frequentazione e dall’interazione poetica con gli autori Faraòn Meteosès e Enrico Rosellini, con i quali perlustrerà le potenzialità sinestetiche della musica con la poesia). Durante quell’esperienza si misurerà con la direzione di formazioni strumentali per i recitativi delle cosiddette Poesie a voci plurime di F.M., come accadrà in occasione dell’intervento di Inchiostri ed altri materiali nello spettacolo tenutosi al Palacisalfa di Roma, in onore delle «Madri di Plaza de Mayo» e, nel 2000, con la compagnia para-teatrale “Il Piede di porco”, in veste di attore e direttore delle musiche, mettendo in scena Per ludum dicere (una rappresentazione di teatro di poesia su testi di F.M).
Da quel punto in poi, proseguono varie ed innumerabili sperimentazioni musicali e letterarie che lo porteranno più tardi, nel 2006, alla partecipazione del “Club Tenco”. E ancora dopo, nel 2010, all’ “Etruria Jazz Festival”, dove eseguirà in trio, suoi pezzi strumentali (risalenti agli anni della sua permanenza in Brasile) e alcune canzoni rivisitate in chiave jazzistica, che costituiscono un’anteprima di Metrò mestieri, tuttora rintracciabile sul suo canale Youtube. Nell’estate dello stesso anno, sul palco del “Ladislao poli festival”, porta in scena la “storia concertante” e sconcertante de’ “La fondazione di Ladispoli”, in cui si racconta, con l’utilizzo di voci narranti, musica e canzoni, la realtà romanzata della nascita di questa cittadella, dove peraltro il Nostro, nella zona confina di Cerenova è permaso e ha dimorato.
Sul finire del 2009, approda al “Teatro San Carlino” (sito in Villa Borghese a Roma) dove attualmente svolge il ruolo di Direttore Musicale con massicce incursioni attoriali in sinergia coi burattini e con gli stessi protagonisti delle rappresentazioni.
L’immaginario musicale e cantautorale di Maurizio Ponziani, che conieremo contestualmente ponziano: cognome che presumibilmente affonda – o riemerge? – le sue radici nell’arcipelago delle cosiddette “Isole Ponziane” (come meglio descriverebbe qualcuno sicuramente più informato di noi. Lo I.A.G.I. “Istituto araldico-genealogico italiano”!?) è per alcuni aspetti, un amalgama d’insolite quanto difformi analogie di una verosimile, piuttosto tangibile linea ambivalente e coordinata geografica, che ha origine in Brasile e riconduce all’Italia e viceversa. Un fascinoso andirivieni culturale dell’estro musicale ponziano, un crocevia di intrecci e rimandi di forme finemente classiche come il valzer… Tale miscellanea di stili è la configurazione musicale ponziana fra reminiscenze otto-novecentesche, enucleate e ritrascritte con sagace maestria, fra macchiettature ed improvvisazioni jazzistiche, in un distillato di suoni e parole ad alto grado etilico.
La poetica-musicale ponziana non aspira alle stelle, perché il paesaggio animato dal quale prende le mosse l’uomo prima e il cantautore poi, è stato già pervaso e costruito da costellazioni pulsanti che ha toccato con mano… in altre parole egli è poeticamente l’Astolfo sulla luna… nel senso di un raggiunto Paese delle Meraviglie… avendo varcato ogni Muro che sia esso di Berlino o sartriano… In sostanza Ponziani, in termini artistici, è un self made man avendo concretizzato una sua personale e funzionale decodifica del Mondo. Come il Signor Serratura, coabita ora in un condominio fiabesco con Bianconigli, Capitani Libeccio, Biagio Lucertole, Brucaliffi, Stregatti, Capellai Matti, Leprotti Bisestili, Toperchi e Regine di Cuori… anch’egli divenuto un’identità fantasmatica, collocata al margine di una presunta realtà parallela… proprio così come sono tutti gli autentici artisti… Insomma diremmo che Ponziani è un cane sciolto… uno spirito libero… se volessimo usare un linguaggio più forbito. E di questo ne siamo grandemente orgogliosi! Egli è finalmente giunto alla libertà dalla civiltà dei consumi, ha superato il castello machiavellico del Principe e da lì come un novello Papillon è evaso dall’Isola del Diavolo della Guyana francese… sebbene sottomesso alle Leggi e come chiunque, alle ristrettezze, ma protagonista delle contraddizioni del suo (del nostro) Tempo, che vertono (anche e soprattutto in questo contesto) sulla distribuzione della ricchezza del Welfàre , che riteniamo sia uno degli snodi cruciali… una sfida che ha una portata sociale per i significati espressi e le simbologie utilizzate nei testi delle canzoni di Metrò mestieri.
Il beffardo humor nero ponziano, è pregno di fendenti frizzanti di ironia, con i quali riesce intelligentemente ad affrontare le questioni irrisolte sul tema del lavoro (e nello specifico del precariato) un vero atto creativo e di coraggio, che include gli aspetti determinanti di una denuncia sociale (degni per altri versi della protesta di un José Bové).
In conclusione diremmo che, Maurizio Ponziani, ha saputo giocare sapientemente con le note e le parole, con l’incantamento di un bambino (… cresciuto! Nel suo caso) trasponendo in musica d’autore, tematiche attualissime e scottanti, che ha appreso come affrancarsi (e mordacemente liberarci) dalle asperità e dalle forme di schiavitù dell’odierna Era corrente, cantando i mestieri delle moltitudini di disoccupati, di esodati, di cassaintegrati e neo-assunti… di quelli costretti all’uscita obbligata verso lo stato di quiescenza, di quelli già andati in pensione o di quelli che in definitiva, desidererebbero un vero lavoro (e/o di talaltri che ancor meglio preferirebbero sostentarsi con il proprio talento) giacché ognuno di noi è in condizione precaria, che se non riguarda strettamente gl’impieghi, le mansioni o le professioni, vi si trova ugualmente in soggiogamento continuo, in quanto si è precari davvero su questo Globo terracqueo e nei propri Percorsi di Vita e negli affetti e nell’Arte. E ci è necessario saperlo, ci è doveroso impararlo… asserirebbero gli anziani, che notoriamente, sono sempre i più saggi.

 QUADRATINOnero

immagine giuliana laportella

IL MUSICO NELLA PIAZZA DEL VILLAGGIO

Francesco De Ficchy

 

 

Quando, all’inizio degli anni sessanta, apparvero sulla scena musicale italiana i primi cantautori, non soltanto il grosso pubblico ma anche la critica si trovarono spiazzati: che cos’era questa nuova forma di espressione? Era poesia? Era musica? Era qualcosa di diverso? Come andava catalogata? Come tutti sanno, i primi cantautori presero le mosse dalla tradizione degli chansonniers francesi, e la matrice comune è facilmente avvertibile al di là delle diverse declinazioni individuali. Poi, le cose progressivamente si complicarono: al modello francese si aggiunse quello americano, entrarono nel mondo della canzone d’autore tematiche del tutto nuove, nacquero modi diversi di intendere il rapporto tra musica e testo, cambiò il modo di comporre, la stessa presenza sul palco subì una trasformazione: dal cantautore che si esibisce accompagnato da un’orchestra al cantautore che sempre più spesso è solo sulla scena, accompagnandosi con la chitarra. A questo punto gli influssi sulla canzone d’autore si diversificarono ulteriormente: la folk song, poi il beat che presto volgerà in rock, accenni di sperimentalismo, fino all’incontro con un certo jazz o – nel caso aristocraticamente outsiding di Battiato – col Medio Oriente. La canzone d’autore quindi era ormai talmente cresciuta da entrare in contatto con molti altri ambiti: dall’amore alla riflessione esistenziale, dall’intimismo alla denuncia sociale; e poi la politica, l’ecologia, e tanti altri ancora, con una grande capacità di inglobare tematiche le più disparate. Neanche lo status dell’artista è esente da slittamenti: se da un lato appare arduo considerare ancora un cantautore il De Andrè della svolta etnica, dall’altro lato già molto tempo prima Guccini rifiutava quest’etichetta, preferendole quella di cantastorie, mentre Battiato si considera tuttora, pur nel comporre canzoni, musicista seriale. Il genere canzone d’autore era quindi tanto cresciuto, diversificato, co-implicato e maturato (fino al punto di trascendere sé stesso) da potersi pensare che nulla di sostanzialmente nuovo e diverso potesse presentarsi sulla scena, che l’universo cantautoriale fosse così vasto ed onnicomprensivo da rendere impossibile espanderlo ulteriormente, né dal punto di vista delle forme e dei contenuti, né da quello dello status dell’artista, del suo porsi nei confronti del pubblico. Ma non era così: c’è un musicista che è riuscito ad ampliare ulteriormente i confini di quell’universo, inventando contemporaneamente un nuovo stile – sia nei testi che nelle musiche – ed una declinazione inedita della figura del cantautore. Idealmente, Maurizio Ponziani è un cantautore-saltimbanco, un artista girovago che, dall’alto del suo carro nella piazza del paesino, declama al pubblico le sue storie, che hanno sempre un tono e un riferimento epico. Il suo modo di porsi è quello di chi, esibendosi durante le mercature, deve costantemente richiamare l’attenzione dei presenti, passando dai cantati ai lunghi recitativi (un’altra affascinante acquisizione da lui operata nel genere cantautoriale), lo stile delle sue canzoni è quello non dell’artista moderno che si va ad ascoltare, intenzionalmente, nei luoghi a ciò preposti, bensì ha la novità di rifarsi a quel mondo contadino-pastorale che traduceva in forme più semplici la coeva (non ancora del tutto obsoleta) epica cinque-secentesca (e più tardi, fino all’epopea garibaldina e sopratutto nel Sud d’Italia, in forme di intrattenimento rustico quali i pupi siciliani o i cantastorie calabro-lucani). In questo richiamo, in questa annessione alla canzone d’oggigiorno sta sia la novità, sia il profondo valore culturale della produzione di Maurizio. Solo per citare a caso: brani come “L’arrotino” o interi concept-album sequenziali come “La fondazione di Ladispoli” e “La secessione di Ladispoli” sono o quadri di vita contadina o epica popolare, storia tramandata oralmente.
Quanto alla componente musicale, qui pure è da registrare una notevole originalità: mentre per la maggior parte dei cantautori la musica non vive di vita propria, nelle canzoni di Maurizio la musica è altrettanto elaborata quanto – e forse più – i testi: una musica che rievoca ambiti diversi ed assemblati con notevole originalità, dal café-chantant al jazz, dalla fanfara bandistica al ragtime, non senza frequenti allusioni al Romanticismo pianistico, con particolare riferimento – pur nella diversità degli stilemi – all’intenso cromatismo melodico ed armonico di Chopin. La sinuosità, la sensualità, la varietà delle linee di canto e delle sovrapposizioni e giustapposizioni accordali che caratterizzano la musica di Maurizio, ne fanno un prodotto che può vivere in perfetta autonomia, evento assolutamente raro nel cantautorato di seconda generazione, quello cioè susseguito ai primissimi cantautori di inizio anni ’60 (per intenderci, dalla cosidetta scuola genovese a Sergio Endrigo, sul versante opposto del nord Italia).
Non pochi sono dunque i titoli di merito di Maurizio nonché i motivi per i quali è da seguirne il lavoro, e sostenerlo: se la canzone d’autore può riservarci ancora di queste novità, di queste sorprese, allora essa è ancora tutt’altro che morta, come ipotizzato da taluno, sopratutto dopo la recente scomparsa o uscita di scena di tanti grandi nomi di questo genere musicale. Maurizio ha una già lunga storia musicale alle spalle, in Italia ed in Brasile, compresa, insieme ad altre, la partecipazione al Premio Tenco. Non ci resta che augurargli – ed augurarci – un ancor più lungo futuro musicale dinanzi a lui.

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